lunedì 17 ottobre 2016

L'età giusta per lavorare


Il primo articolo della Costituzione italiana afferma che essa sia una Repubblica fondata sul lavoro.
Questo assunto, nella sua lapidaria essenza è manifestamente privo di logica ma può trovare un senso se viene ripetuto come un mantra per convincere la gente, fin dalla più tenera età, che solo praticando un "lavoro" si può essere degni cittadini o addirittura dare un senso alla vita. Non a caso, molte persone condizionate in tal senso, in caso di perdita del loro amato lavoro, arrivano a cadere in depressione o a togliersi la vita, e questo succede non tanto per problemi economici ma perché sentono di aver perduto addirittura la dignità di essere umano!
Una condizione assurda, ammissibile solo col presupposto che il lavoro in quanto tale debba essere un fine e non quello che è realmente: un mezzo per
procacciarsi sostentamento ed eventualmente qualcosa in più.
Parlamentari al lavoro
Focalizzare l'attenzione su problemi relativi è il metodo migliore per far perdere di vista i veri obiettivi da perseguire. Ogni giorno assistiamo a diatribe in corso tra individui o interi schieramenti politici su argomenti più che marginali, utilissimi però per evitare di mettere in discussione le fondamenta di un sistema marcio.
Degli esempi potrebbero essere i cavalli di battaglie populisti sugli stipendi troppo alti dei parlamentari, il loro numero e se è giusto o meno che venga loro concessa una (determinata quota di) immunità.
Questioni risolte in partenza se si fanno delle semplicissime considerazioni:
1) Il costo dei parlamentari è esageratamente alto ma nel suo complesso incide in maniera irrisoria sul bilancio dello Stato e quindi non è una questione di primaria importanza: il vero problema da risolvere è che la maggioranza dei parlamentari lavora contro gli interessi dei cittadini e dello Stato. Ho già espresso il mio pensiero a riguardo e contro ogni logica apparente, io sarei per decuplicare gli appannaggi parlamentari a patto che i beneficiati comincino a lavorare per noi. Il maggior costo ci verrebbe ripagato in abbondanza da una nazione finalmente prospera e pacifica. Per inciso, è da notare che se dovesse vincere il SI al prossimo referendum, il Senato verrebbe occupato periodicamente dai sindaci e dai loro assessori o tecnici di fiducia, andando ad aumentare i costi già elevati della politica.
2) Un numero elevato di parlamentari è necessario, in un Paese così variegato e multietnico (senza neanche considerare gli immigrati), per garantirci sufficienti rappresentanze ed attenzione per gli innumerevoli aspetti della vita di uno dei Paesi economicamente più grandi del mondo. Ridurlo, è il sistema migliore per accentrare il potere in poche mani più facilmente (e più economicamente) controllabili dai poteri sovranazionali.
3) L'immunità parlamentare nel corso del loro mandato, è necessaria per garantire l'attuazione dei programmi politici (votati dagli elettori) e per impedire che la magistratura possa svolgere una funzione politica. Basterebbe poi eliminare l'istituto della decorrenza dei termini per essere sicuri di poter processare qualsiasi politico dopo la fine del suo mandato. Ovviamente, il tutto andrebbe confezionato legislativamente in maniera ineccepibile in modo da prevenire effetti diversi da quelli contemplati.

Prima dei soldi?
Ma tornando alla questione del lavoro: crescendo in una regione politicamente "rossa", fin da ragazzo ho trovato sempre assurdo che moltitudini di persone (a mio avviso decerebrate oppure mentalmente condizionate) scendessero in piazza compatte ed urlanti a rivendicare "lavoro" ed allo stesso tempo combattere la "classe padronale" ovvero altri lavoratori che si differenziano dai primi per la totale responsabilità di ciò che fanno e per la creazione dei tanto agognati posti di lavoro!!
Nell'URSS, il problema della disoccupazione era risolto impiegando gli esuberi per deforestare grandi porzioni di territorio, segare i tronchi in pezzi sempre più piccoli fino a ricavarne trucioli che infine erano dati alle fiamme.
Non producevano nulla, anzi per il governo era un costo e per il Paese una devastazione continua ma lo scopo di tenere occupate le masse per non farle pensare era raggiunto. Perché il pensiero libero generato dal tempo libero, è il primo nemico del potere: in questo contesto si colloca il concetto del lavoro come dignità e mero fine, propinato come un mantra.

Tuttavia non volevo parlare di questo: concentrando a mia volta l'attenzione su di un problema che sembrerebbe marginale - ma fino ad un certo punto - un'altra cosa che mi è apparsa da sempre illogica è un'attenzione verso il problema della disoccupazione affrontato dalla parte sbagliata: perché s'insiste tanto sul tasso di disoccupazione giovanile e non si prende neanche in considerazione quello che riguarda gli ultracinquantenni?

Meglio che niente
Un giovane ha dalla sua tanto tempo davanti e nella maggior parte dei casi una famiglia in grado di sostentarlo nel caso guadagni nulla o troppo poco per rendersi indipendente. Difficilmente avrà figli ed una famiglia sua da mantenere. Facilmente, si tratterà di una persona poco radicata al territorio disposta ad allontanarsi da casa e dal Paese in vista di una buona prospettiva.
Una persona matura che perde il lavoro ha molte meno possibilità: nessuno emigra a cinquant'anni, non si ha più la voglia né lo spirito né la preparazione per farlo. Probabilmente avrà da accudire e sostentare dei figli non ancora in età lavorativa, dei genitori anziani e bisognosi di assistenza. Mutui accesi, assicurazioni ed affitti da pagare. Equitalia che la perseguita, debiti da riscuotere e crediti da esigere, cause di lavoro intentate dalla colf o dai suoi dipendenti se era un imprenditore. Nel complesso, potrebbe trovarsi in uno stato di disperazione molto peggiore di quello in cui si potrebbe trovare un giovane.
Eppure, si continua ad insistere sul problema della disoccupazione giovanile.

La mia soluzione sarebbe empirica ed elementare come sempre: tener conto, nelle liste e nelle graduatorie di collocamento, dell'età del richiedente come un punteggio addizionale in modo da privilegiare gli anziani che, se non altro, nel lungo termine occuperanno il posto ottenuto per molto meno tempo favorendo una rotazione più rapida del posto. Nel caso trovassero un lavoro che conoscono, non avrebbero neanche bisogno di apprendistato, a vantaggio sia della loro retribuzione che della loro produttività.
In ultima analisi, potrebbe trattarsi di genitori degli stessi ragazzi che cercano lavoro e, tra i due casi, è di sicuro meno grave che sia il figlio a non averlo ancora trovato.
In ogni caso, il problema della disoccupazione è del tutto relativo: infatti è un dato di fatto che non si campa di lavoro ma di reddito. Questo significa che l'attenzione dovrebbe essere focalizzata sulle cause primarie della mancanza o dell'insufficienza di reddito: la mancanza di un lavoro può essere una di queste ma non è assolutamente detto che un disoccupato non riesca a cavarsela mentre uno che ha un lavoro non abbia mai problemi!
Il disoccupato potrebbe benissimo avere soldi da parte, casa di proprietà e genitori che possono aiutarlo mentre ad un lavoratore con famiglia numerosa potrebbe non bastare assolutamente il suo stipendio. E' su questo aspetto che bisognerebbe concentrare l'attenzione, non sulla disoccupazione in sé che è un fenomeno del tutto relativo.
Giovani consumatori
Forse, il vero motivo per cui si punta a trovar lavoro più ai giovani è perché si sa bene che gran parte di loro, non appena percepisce un guadagno corre a spenderselo in oggetti e servizi che un adulto non prenderebbe neanche in considerazione. C'è sempre un tornaconto da valutare, dietro a tutto.