martedì 2 agosto 2016

Divide et impera, i media come arma contro le coscienze


Nella filmografia propagandistica occidentale, i cattivi hanno sempre la pelle e/o i capelli più scuri dei buoni o quanto meno sono abbigliati prevalentemente di scuro.

A questa regola fanno eccezione i buoni border line, ovvero quei buoni che per esigenze di copione vengono spacciati inizialmente per cattivi (vedi ad es. Terminator 2) oppure che sono stati "cattivi" prima di ravvedersi e, sostanzialmente, di essere trasformati in arance meccaniche allineate al potere.

Altra inevitabile eccezione si rende necessaria nei film di propaganda più sfacciatamente sionista oppure sinistrorso-italiota più o meno consciamente
filo-sionista in cui i cattivi, una volta tanto hanno un aspetto nordico, per non dire ariano visto che sono chiamati ad interpretare i nemici giurati dei banchier... pardon, degli ebrei: i nazisti tedeschi.
Inimicizia che poi si materializzò in termini percentuali "stranamente" ridotti quanto a morti accertati nei campi di lavoro tedeschi visto che ben più dei 356.000 "ebrei" così classificati, erano russi, italiani, polacchi, slavi e zingari di religione non certo ebraica.
Ora, è noto che la prassi della propaganda post-bellica prevede una riscrittura della storia di stampo orwelliano in quanto vinti e - perché no - vincitori sopravvissuti ad... olocausti di diverso genere potrebbero dare delle versioni ben diverse da quelle rigorosamente ufficiali.
E se non basta la propaganda, ecco mettersi in moto la macchina del fango a cui, avvalendosi dei neo-demenziali concetti di "buonismo" e "politicamente corretto" che hanno inquinato le coscienze popolari, è sufficiente accusare pubblicamente  qualcuno - anche senza l'ombra di una prova - di "razzismo", "antisionismo", "maschilismo", "antifemminismo", ecc. per vederlo messo all'indice da un'indignata, quanto incapace di connettere, opinione pubblica.

L'unica cosa che mi conforta, quando assisto a tali reazioni del Sistema, è che evidentemente ha ancora bisogno del consenso popolare e finché esso ha necessità di occultare, denigrare, eliminare i suoi oppositori, vuol dire che non ha ancora instaurato un controllo totale e capillare sugli individui e sulla cosiddetta "informazione". Questo dovrebbe far riflettere e concludere a chi lo combatte che ancora non tutto è perduto.


Adolf Hitler, nel suo Mein Kampft scriveva che le libertà vanno sottratte gradualmente al popolo fino a che non si troverà in una condizione in cui non gli sarà più possibile invertire la tendenza.
L'accozzaglia di genti, razze ed etnie che qualcuno si ostina ancora a definire indebitamente "popolo italiano" non è certo in grado di comprendere che gli avvenimenti degli ultimi anni rappresentano esattamente la messa in pratica di questo principio hitleriano. In Italia sono in vigore sempre più divieti dalla natura sempre più assurda e totalitaria: nel discorso del Furher basta sostituire la vaga espressione di "libertà" con la locuzione "spazio vitale" per comprendere esattamente cosa stia succedendo e di cosa sto parlando.

Il politicamente corretto, ovvero la menzogna funzionale agli interessi di potere, impedisce la presa di coscienza o la divulgazione di molti fenomeni che hanno indiscutibili caratterizzazioni o implicazioni etniche, razziali, generiche o categoriche.
In questo contesto in cui si nega pervicacemente la verità a favore di favole di regime, come l'Olocausto così come ufficialmente narrato e definito senza possibilità d'indagine e contraddittorio, non è possibile neanche che i media possano riportare fatti di cronaca se prima non sono passati al vaglio della censura di regime ovvero del politicamente corretto.
Così, non si può dire che in Italia il mercato del rame, sia quello legale che quello illegale, è detenuto da zingari che arrivano a rubare i cavi della corrente delle linee ferroviarie e che rimuovono la plastica di protezione dei cavi bruciandola e quindi immettendo in atmosfera diossina ed altre sostanze tossiche! Se sono loro a farlo non c'è che da prenderne serenamente atto: è razzista chi non vuole che se ne parli.