martedì 26 aprile 2011

La guerra e la fisica


C'era da aspettarsela, ma ascoltare da un TG la notizia dell'ingresso in guerra dell'Italia contro la Libia è stata una cosa brutta e deprimente.
D'altra parte, era inevitabile che un Paese come il nostro, completamente privo di autonomia decisionale in quanto colonia statunitense a tutti gli effetti dal 1946 ed in ogni caso succube e fedele esecutore di qualsiasi disposizione giunga da oltre oceano, non partecipasse prima o poi in maniera attiva alla GRATUITA AGGRESSIONE ad un Paese sovrano così vicino a noi come la Libia, se ciò è cosa gradita ed utile agli USA. Oltretutto se delegano i nostri militari a compiere almeno una parte del lavoro sporco, oltre a dividere le responsabilità di questa ingiustificabile aggressione, dividono anche i costi delle operazioni. E sia chiaro che io [Tommy, ndr], come cittadino e contribuente italiano mio malgrado, non sono assolutamente d'accordo con questo ingresso in guerra e vorrei essere gentilmente esentato dal dover contribuire economicamente a questo ignobile spreco di denaro... .
In questo caso più che mai ci si rende conto che lo Stato, da parassita della società civile quale è, non è certo un'emanazione della volontà dei cittadini ma un organo gestito da privati intoccabili che a sua volta gestisce ricchezze “pubbliche” in maniera anche criminale senza darne conto ai veri proprietari.
Vergognosa (e sarà stato vergognosa anche per lui SE ha una coscienza) la giustificazione del presidente Napolitano che nel discorso riportato in TV sostiene in sostanza che l'Italia non poteva rimanere con la mani in mano dopo la feroce (?) REAZIONE del colonnello Gheddafi!
Come se la reazione ad un'aggressione o comunque ad un'ingerenza estera negli affari di Stato fosse una cosa da condannare!
Da un Capo di Stato mi aspetto infatti che difenda – anche con la forza ove necessario - gl'interessi della nazione e quindi anche i miei, non certo che stenda un tappeto di velluto a chi vuole impossessarsi dei beni pubblici!
D'altra parte, ancora, non c'è nulla di strano che in una nazione cattolica si dia per scontato in un discorso pubblico che una REAZIONE possa essere di per sé di valenza negativa.
Le Sacre Scritture (SS) suggeriscono infatti di porgere l'altra guancia all'aggressore, contrariamente agli istinti che tengono in vita tutti gli organismi viventi e anche alla... fisica delle forze che prevede come conseguenza più NATURALE del mondo una REAZIONE (almeno) uguale e contraria a qualsiasi FORZA che perturbi uno stato di quiete.
integralmente tratto da infoarchivio
approfondimenti:
- Le vere ragioni della guerra alla Libia

domenica 24 aprile 2011

Chi sono i veri artefici delle rivoluzioni?

Di seguito, due articoli postati in sequenza da Gianluca Freda sul suo "blogghete" in cui sviscera una lucidissima interpretazione di cause ed effetti (reali) dei movimenti violenti di piazza che tanto piacciono ai media di regime e che nulla di positivo apportano alla causa dei cittadini, illudendoli solo di aver colto qualche briciola di potere.

Quando sostenevo simili tesi nella Toscana degli anni di piombo, mi davano del "fascista" senza capire che erano proprio loro gli alleati più fedeli e manovrabili del regime.

LA RIVOLUZIONE DEI FALLITI

infiltrato?

infiltrato2

“In guerra, lo stratega vittorioso cerca la battaglia solo dopo che la guerra è stata vinta; mentre colui che è destinato alla sconfitta, prima combatte e poi cerca la vittoria”.

[Sun Tzu, “L’arte della guerra”]

Avevo sperato fino all’ultimo che il tizio col giaccone beige che ieri, [14/12/2010, ndr] insieme ad un branco di altri cialtroni senza cervello, ha contribuito a mettere a ferro e fuoco la città di Roma, fosse davvero ciò che sembrava: il solito poliziotto in borghese, con l’incarico di infiltrarsi tra i manifestanti, scatenare l’inferno e giustificare in tal modo (Cossiga docet) la repressione violenta delle proteste. Molti elementi facevano propendere per questo scenario, piuttosto consueto per chi ha un minimo di esperienza in fatto di manifestazioni. Il cialtrone è ritratto mentre impugna un manganello della Guardia di Finanza, agita un paio di manette della Guardia di Finanza e fraternizza (o almeno non si mena) con alcuni poliziotti che, in teoria, dovrebbero sprangarlo di santa ragione. Purtroppo l’ipotesi consolante e illusoria che il manifestante imbecille fosse in realtà un poliziotto infiltrato ha ceduto il passo, con il trascorrere delle ore, ad una rivelazione ben più inquietante e drammatica: il manifestante imbecille era in realtà, insospettabilmente, un manifestante imbecille. A dimostrarlo, oltre ad alcune testimonianze lette in rete che identificano il bell’eroe di cui sopra con un “compagno” dei centri sociali romani, c’è questa foto che lascia poco spazio ai dubbi:

scemo

in essa si vede il farabutto che viene atterrato dai poliziotti e (sperabilmente) arrestato e condotto in un luogo appartato ove i connotati elargitigli da madre natura gli saranno modificati in permanenza con le stesse tecniche da lui suggerite e attivamente sperimentate su tavolini da bar e automobili in sosta.

Naturalmente l’ultima foto non rappresenta una prova definitiva. Potrebbe trattarsi di una messinscena allestita per allontanare i sospetti; potrebbe trattarsi di un fotomontaggio (nella foto la figura del manifestante ha contorni curiosi e presenta un grosso quadrato di pixel anomali proprio in corrispondenza del volto). E potrebbe trattarsi (è l’ipotesi più verosimile, fatto salvo l’emergere di nuovi elementi) della foto autentica di un idiota che subisce il fato spettante agli idioti. E che svanisce dal palcoscenico della sua rintronata “rivoluzione” dopo aver danneggiato quel “sistema di potere” contro il quale aveva eroicamente schierato tutta la propria puberale cialtroneria tanto quanto una scoreggia di mosca danneggerebbe un carrarmato Abrams.

In questo articolo, in ogni caso, non intendo discettare dell’autenticità e del significato, palese o recondito, delle immagini testé presentate. Desidero parlare invece del degrado terminale ed irreversibile dell’ideale rivoluzionario, il quale, complice l’ineffabile clima politico attuale e l’amplificazione telematica della stupidità consentita dai moderni mezzi di comunicazione, ha finito per trasformarsi in chiacchiera da cortile, tanto più fastidiosa quanto più inconsapevolmente trogloditi sono coloro che ne cantano gli osanna. Leggo su diversi siti internet interventi e commenti estasiati sulle bravate dei black bloc romani. “Finalmente si riscopre la violenza politica!”, scrivono alcuni utenti scimuniti, per i quali, a quanto pare, è sufficiente congiungere l’aggettivo “politico” al sostantivo violenza” perché dal forno della nonna esca, calda calda, la Rivoluzione Bolscevica. “Finalmente una protesta seria”, scrivono altri minus habentes, convinti che bullismo e cialtroneria rappresentino l’unico metro di misura della “serietà” di qualunque fenomeno. La celebrità di un divo si misura sulla cafonaggine che egli è in grado di esibire agli occhi ammirati del pubblico; la serietà di un politico si misura dal tasso di insolenze che è in grado di rivolgere agli avversari senza essere zittito; e la “serietà” di un rivoluzionario si misura non dai risultati prodotti dalla sua “rivoluzione”, ma dal numero di panchine sfasciate e di panetterie date alle fiamme. Il cialtrone col montgomery beige è il perfetto prototipo di questi rivoluzionari falliti. Il suo motto è: “Vorrei accoppare i Rothschild, ma siccome non posso, tanto vale fare a pezzi il motorino del mio vicino di casa; sempre meglio che restarsene a casa a scrivere articoli dietro una tastiera”. Consiglierei a questi buffoni di restarsene a lungo dietro le tastiere e di scrivere un bel po’ di articoli. Se non altro faranno lavorare il cervello (ammesso che ne abbiano uno) ed eviteranno di affossare ulteriormente l’idea di rivoluzione, che in bocca a loro suona come una bestemmia. Per fargli capire con un pratico esempio quanto siano efficaci i loro metodi di lotta, gli consiglierei di dare un’occhiata ai volti dei politici ai quali hanno dedicato le loro manganellate di ieri, quelle date e quelle prese. Vi sembrano minimamente preoccupati? Stamattina Berlusconi e i suoi sodali – strano a dirsi – non si sono nemmeno curati di dedicare un commento, che non fosse di circostanza, al putiferio romano di ieri. Hanno cose ben più importanti per la testa che le miserabili scaramucce con gli sbirri di un branco di sfaccendati. Rassegnatevi, cari “rivoluzionari” delle mie ghette: non gliene frega niente di voi. Non contate un cazzo. Ed il fatto che non contiate un cazzo è l’unica cosa che li ha trattenuti, per il momento, dal sobbarcarsi il fastidio di sporcarsi le scarpe schiacciandovi come vermi, cosa che potrebbero fare in qualunque momento. Potete demolire quaranta quartieri romani tutti in fila e loro si limiteranno ad appaltare la ricostruzione ad imprenditori amici, incassando le dovute prebende e ringraziandovi per l’interessamento. Debora Billi ha scritto, un paio di giorni fa, un articolo in cui ipotizzava che i politici iniziassero ad avere paura del vigore “rivoluzionario” dei disadattati giovinastri nostrani. Se quello che scorgo oggi sui volti degli uomini del governo è paura, vuol dire che sono diventati sovrannaturalmente abili nel simulare serena indifferenza e manifesta soddisfazione per le vittorie parlamentari mentre sono attanagliati dal terrore cieco.

Consiglierei di dare un’occhiata anche ai volti dei negozianti romani e dei poveracci che si sono ritrovati l’automobile bruciata, il bar distrutto, il parco giochi sotto casa ridotto ad un letamaio. Quanti adepti credete che avrà guadagnato la causa “rivoluzionaria” nel corso della giornata di ieri fra i cittadini di Roma? Se fossi in loro (e in effetti lo sono) preferirei di gran lunga la violenza mirata e metodica dei celerini alla barbarie scomposta che si accanisce con furia contro le proprietà dei deboli, per poi accasciarsi vigliaccamente, come un sacco di patate in giacca e cappuccio beige, dinanzi alle randellate dei forti. Se fossi nei cittadini di Roma (e lo sono senz’altro), più che ad una “libera collettività anarchica” inizierei ad aspirare ad una teocrazia di stampo iraniano, dove i manifestanti facinorosi e criminali, quando entrano in un carcere, ne escono soltanto appesi ad una corda di canapa.

Quello che questi imbecilli dovrebbero imparare (e impareranno, prima o poi, se l’imbecillità gli consentirà di vivere abbastanza per poterlo fare) è che la violenza non è una strategia. E’ semmai un indispensabile strumento che serve a portare a termine la strategia, una volta che essa è stata approntata. Ma prima bisogna approntarla. E per farlo occorre capire a fondo i meccanismi che stanno dietro i conflitti geopolitici, proporsi obiettivi graduali, imparare a conoscere i punti deboli degli avversari, utilizzare l’astuzia e la diplomazia come risorse primarie e la forza bruta come risorsa ultima, mirata a vincere gli ultimi ostacoli non altrimenti superabili. Bisogna, come avrebbe detto Sun Tzu, conoscere il nemico, non per sentito dire, ma per averlo praticato ed averne studiato i punti di forza e di debolezza da vicino. Bisogna aver passato un bel po’ di tempo a contatto con i nemici, aver fatto parte del loro stesso circolo. Starsene in disparte a fare i duri e puri e a sognare improbabili utopie sociali è atto di stupidità suicida. Lenin, pur di colpire la fazione menscevica del partito, non esitò a collaborare con la polizia zarista e ad accettare come collaboratore Roman Malinowsky, che era un agente dell’Ochrana, la polizia segreta governativa. E’ con la strategia, la determinazione, il compromesso e la pratica di potere che si sconfigge il potere, non attaccandosi alle decrepite parole d’ordine di ideologie morte e sepolte. Tantomeno con le esplosioni occasionali e sguaiate di violenza, che non fanno nemmeno ridere il potere, tanto sono inutili.

Solo i falliti e gli impotenti vivono di ideologia e di sogni; e sono così “coerenti” con i loro dogmi da rifiutarsi di vedere il mondo che cambia, perché non osservano il mondo, ma solo se stessi. Solo i falliti scaricano la propria frustrazione verso il mondo che, inesorabilmente, li esclude, spaccando tutto e appiccando il fuoco a tutto ciò che capita. Lo fanno perché non vogliono affatto cambiare il mondo. Vorrebbero, se potessero, farlo a pezzi per punirlo di averli cacciati fuori dalla sua porta, come se il loro esilio fosse imputabile al mondo e non al rifiuto di guardarlo negli occhi senza il velo di decedute fantasie politiche. Solo i falliti sanno farsi strumentalizzare così efficacemente e così a fondo dal potere da diventare, nelle sue mani, un utile strumento per le “rivoluzioni colorate” prossime venture. Un surrogato artificiale di rivoluzione, una carogna di conflitto sociale rivestita a festa, ma ben manovrata dai potenti, sulla quale i falliti sfasciapanchine si accalcano per fame, non avendo più altra tavola a cui saziarsi. Non si può neppure contare sulla profilassi dei manganelli, sperando che spacchino ossa più rapidamente di quanto i cappucci beige siano in grado di spaccare vetrine. I manganelli non servono a uccidere, ma a convincere. E nessuno è più facile da convincere di un rivoluzionario senza rivoluzione. Uno che farebbe a pezzi una città intera pur di poter assaggiare della rivoluzione una marcia, patetica, miserabile briciola.


COME COSTRUIRE UNA RIVOLUZIONE CHE NON CADA A PEZZI IN DUE GIORNI

Il lettore Mirko [del Gianluca Freda blogghete, ndr] ha scritto nei commenti relativi all’articolo sugli scontri di Roma:

Caspita che articolone...perché non lo completi parlando delle conseguenze della "strategia del compromesso, della determinazione, della pratica di potere utilizzata per sconfiggere il potere"? Così, magari riusciamo ad arrivare alla degenerazione della rivoluzione russa che hai citato... Trai forse godimento dai pestaggi, visti i continui incitamenti alla violenza della celere? Ti sconvolge tanto la vista di due tavolini privati sottratti da un bar privato per essere lanciati, ma non parli della disperazione dei lanciatori d'immondizia di Terzigno e dei terremotati, anche loro in piazza. Secondo il tuo ragionamento è una brutta cosa sporcare Roma con l'immondizia, meglio tacere e respirare diossine in silenzio, non lamentarsi in questo modo "barbaro"...chissà cosa penseranno quelli dei bar... Non capisco, invece, a cosa serva pontificare dalla tastiera come fai tu, dando dei falliti e degli impotenti a chi ancora - e fortunatamente- possiede dei sogni. Mi chiedo come si fa -e come fai- a fare qualsiasi cosa senza il motore dei sogni e dell'utopia? Concludo dicendo che, almeno secondo me, l'altro giorno in piazza si è espressa unicamente la rabbia, forse non è servito a niente, ma era se non altro lecito esprimerla; la violenza, come sempre, è arrivata, e continua ad arrivare, da chi detiene la forza ed il potere. Saluti.

Il lettore ritiene che sogni e utopie siano il motore di ogni cambiamento. Può darsi che questo sia vero per la vita individuale. Ma quando parliamo della progettazione di un cambiamento sociale, sarebbe bene che ci abituassimo a lasciare i sogni nella dimensione che ad essi appartiene di diritto: quella del dormiveglia e delle fantasie notturne. Appaltare le trasformazioni sociali a branchi di sonnambuli e parolai in pigiama, produce, anche nella migliore delle ipotesi, un fastidioso e rumoroso nulla di fatto, ammantato di deliri teoretici, come quelli che siamo abituati ad ascoltare – senza ormai troppa distinzione – tanto nelle parole dei “rivoluzionari” da centro sociale quanto nei discorsi dei “rivoluzionari” da organigramma di sindacato e di partito nel corso delle periodiche ed inutili manifestazioni “di protesta” accalappiagonzi. Nell’ipotesi peggiore (che è poi di gran lunga la più frequente e storicamente diffusa) l’allucinazione utopica produce semplice manovalanza per “rivoluzioni” gestite dal potere ed indirizzate verso scopi esattamente opposti a quelli che i sognatori dormienti vagheggiano mentre si agitano in preda al delirio. Date retta a un fesso: le rivoluzioni, quelle vere, sono roba per persone ben sveglie e con i piedi per terra. Soprattutto, sono roba da élite. Dove, col termine “élite”, non si intende indicare una realtà connotata sul piano della gerarchia economica o sociale, bensì su quello del pragmatismo politico e della pianificazione intellettuale. Pianificazione che, in tutte le rivoluzioni storiche di qualche rilievo, si è sempre attuata attraverso la circolazione delle idee e dei programmi attraverso i mezzi di comunicazione esistenti, tastiere comprese. In ogni rivolgimento sociale di successo c’è una “testa” che dirige le operazioni, rappresentata dall’élite che dispone dei mezzi di comunicazione necessari a diffondere nella massa le idee e le parole d’ordine su cui dovrà fondarsi l’insurrezione; e ci sono moltitudini di “sognatori” senza arte né parte che fungono da semplice carne da cannone. Inutile dire che gli effetti della rivoluzione si rivelano sempre vantaggiosi per l’élite e devastanti per gli utopisti sonnambuli. Non voglio togliere nulla all’utilità di questi ultimi, senza la cui incompetenza e irriflessività politica nessuna rivoluzione sarebbe possibile. Non ce l’ho con i decerebrati spaccatutto che abbiamo visto in azione a Roma, né con i branchi di pecore che transumano periodicamente verso i pascoli della protesta su apposito torpedone sindacale, i quali svolgono egregiamente il proprio ruolo di soldataglia. Ce l’ho con le élite da cui tali moltitudini sono attualmente gestite e manipolate. Perché le finalità perseguite da queste élite di potere sono del tutto antitetiche a ciò che ritengo essere l’interesse attuale del nostro paese, inteso nel suo insieme complessivo di pastori e di mandrie, di colonnelli e di subordinati.

E’ significativo che il lettore scriva: “secondo me, l'altro giorno in piazza si è espressa unicamente la rabbia, forse non è servito a niente, ma era se non altro lecito esprimerla”. E’ una frase che fornisce un’idea precisa della linea di demarcazione che separa i membri dell’élite dai sognatori suoi manovali. L’élite pianifica, organizza, gestisce, manovra la percezione del mondo e la stessa violenza di piazza secondo modalità che sono funzionali ai suoi obiettivi; la carne da cannone è del tutto priva di capacità di decodifica dell’esistente e di schemi progettuali. Possiede solo la sua rabbia istintiva (a cui attribuisce addirittura un valore etico trascendente, trattandosi dell’unica prerogativa a sua disposizione) che ritiene lecito sfogare, una volta superato un certo livello, su qualunque cosa gli capiti a tiro. Come il buon padre di famiglia, che tornando a casa distrutto e frustrato dal lavoro, ritiene legittimo massacrare di botte moglie e figli, visto che su qualcuno dovrà pur sfogarsi. Il mio articolo si intitolava “La rivoluzione dei falliti” e penso che non avrei potuto scegliere titolo migliore.

Nell’articolo in questione citavo, in esergo, una frase tratta da “L’arte della guerra” di Sun Tzu. Mi chiedo che cosa avrebbe pensato l’antico stratega cinese di un “esercito”, come quello visto in azione a Roma il 14 scorso, che attacca battaglia al solo scopo di sfogare la propria frustrazione; che combatte solo nei momenti e nei luoghi che è il nemico a definire, con apposita comunicazione alle truppe; che si lascia guidare verso lo scontro dai generali dell’esercito nemico o dai traditori ad esso venduti, i quali portano bene in vista sulla divisa le stellette sindacali e partitiche di cui sono stati insigniti per la propria fellonia; che nel corso della battaglia non attacca il nemico, ma i propri stessi commilitoni e compagni di sventura, distruggendo le loro proprietà e dando alle fiamme i loro villaggi; che diffonde in questo modo l’odio e il desiderio di defezione tra le proprie stesse fila; che utilizza la violenza a sproposito e contro obiettivi casuali, anziché riservarla (come Sun Tzu suggeriva) alla fase finale della guerra, per suggellare una vittoria già ottenuta attraverso la diplomazia, la comunicazione, l’astuzia e l’inganno. Probabilmente il vecchio cinese non avrebbe destinato ad una simile masnada l’appellativo di “esercito”, limitandosi a considerarla una congrega di scimmie infuriate e a riderci sopra. Ancora più verosimilmente, avrebbe avuto parole di lode e di stima per i generali dell’esercito loro nemico, dimostratisi capaci di ridurre gli avversari alla più assoluta impotenza senza neppure muoversi dal proprio accampamento. “Tutta la guerra è basata sull’inganno. Perciò, quando siamo pronti ad aggredire, dobbiamo apparire impreparati; quando adoperiamo le nostre forze, dobbiamo sembrare inattivi; quando siamo vicini, dobbiamo far credere al nemico che siamo lontani; quando siamo lontani, dobbiamo fargli credere che siamo vicini. Tieni pronte le esche per allettare il nemico. Fomenta disordini e schiaccialo”.

Per quanto implacabile sia il mio odio per le strutture sovranazionali, economiche e politiche, che hanno ridotto in servitù il nostro paese, devo riconoscere ai loro generali una capacità strategica un miliardo di volte superiore a quella dei cialtroni visti in azione nelle piazze nostrane. E’ normale, del resto: non a caso loro sono l’élite, mentre i cialtroni di cui sopra sono la marmaglia inconsapevole che viene manovrata per il conseguimento degli obiettivi predefiniti. Immagino che, nel caso in questione, l’obiettivo – o uno degli obiettivi - fosse quello di defenestrare un governo, pessimo sì, ma dimostratosi troppo indipendente e refrattario agli ordini nell’ambito della politica estera. Eppure, nonostante l’ottima strategia messa in campo, l’élite dominante sembra, per il momento, avere fallito. Il governo incriminato è rimasto in carica, sia pure per tre soli voti di maggioranza. I suoi avversari politici sono ora allo sbando, compresi i rinnegati finiani così accuratamente costruiti e finanziati, costretti ad annullarsi nella macedonia immonda di un elettoralmente improponibile “terzo polo”, che prefigura la loro prossima estinzione. Bisogna chiedersi: perchè hanno fallito? Perché la marmaglia antiberlusconiana, inviata a deporre il rinnegato governatore della colonia, pur debitamente infiltrata da operativi del nemico, non è riuscita per adesso a perseguire il risultato agognato?

Il motivo è semplice: non esiste più un’unica élite. Nell’epoca della ridefinizione degli assetti geopolitici globali, le élite che si contendono il controllo delle masse e la loro sudditanza alle parole d’ordine sono diventate una pluralità. La vecchia nomenclatura dirigente rispolvera i vetusti schemi interpretativi del mondo organizzati per dicotomie (“fascismo-comunismo”, “democrazia-dittatura”, “berlusconiano-antiberlusconiano”, “razzista-antirazzista” e via bipolarizzando), mentre il nuovo gotha che ad esse contende il potere prova ad inserirsi nel gioco della manipolazione delle coscienze con altri modelli prefabbricati e narrazioni alternative. Questa battaglia per il controllo delle moltitudini si combatte (come del resto è sempre avvenuto nel corso della storia) nel campo dell’informazione e dell’entertainment. Cioè proprio dietro quelle tastiere che i pasdaran della rivoluzione di piazza sono stati abituati – un po’ per insipienza politica, un po’ per programmazione culturale abilmente somministrata dagli strateghi del nemico – a disprezzare e sbeffeggiare. E’ dietro le tastiere del web, delle redazioni giornalistiche, delle case editrici che vengono definiti e perfezionati i nuovi modelli percettivi e di pensiero cui le masse dovranno conformare la propria visione del mondo nei decenni futuri. E’ dietro le tastiere dei programmatori che vengono studiati i nuovi contenuti web, attraverso i quali i mezzi di comunicazione telematica verranno gestiti per le finalità di dominio proprie della classe intellettuale che uscirà vincitrice dallo scontro. E’ sempre dietro le tastiere che nascono i social network come Facebook, utili a rimbecillire e rendere controllabili, analfabetizzandole, le nuove generazioni; o come Twitter, attraverso i cui canali già viaggiano le direttive e gli ordini per la gestione delle “rivoluzioni colorate” fomentate dal potere (come si è visto in occasione della famigerata “rivoluzione verde” iraniana); o i nuovi templi dell’informazione “alternativa” come Wikileaks, creati allo scopo di soppiantare l’informazione libera del web, sostituendo ad essa un’autorevole e ponderosa massa di nulla oggettivo, privo di qualunque elaborazione critica.

In questo scontro di nomenclature, come sempre, i facinorosi guastatori di piazza rivestiranno il ruolo di truppe d’assalto, agli ordini dell’organizzazione di potere che riuscirà a vincere la guerra dell’informazione.

Occorre dunque decidere – e decidere adesso – se desideriamo rivestire il ruolo di soldati che subiscono la rivoluzione prossima ventura o di progettisti che la pianificano e la manovrano. Rivolgo pertanto un appello a tutte le menti razionali che, ritrovatesi martedì scorso nel bel mezzo di una guerra alla cui progettazione non avevano in alcun modo contribuito, abbiano sentito “a pelle” di trovarsi nel livello sbagliato della gerarchia. Invito tutti costoro a lasciar perdere le molotov, le risse coi celerini e gli scudi di cartone e a venire dietro le tastiere, dove c’è urgente bisogno di loro. Di truppaglia mercenaria da gettare allo sbaraglio contro il nemico ne abbiamo anche troppa. Ci servono generali, strateghi, programmatori, psicologi delle masse, scrittori, articolisti, ministri della (nostra) propaganda. E’ con questi strumenti e solo con questi che si organizzano e soprattutto – come avrebbe detto con saggezza il vecchio Sun Tzu – si può provare a vincere le guerre e le rivoluzioni.

Gianluca Freda

Anche in Italia ci sarà il carcere per i negazionisti?

Su decisione dell’Unione Europea, ogni Paese dovrà inserire nel proprio ordinamento giuridico una legge che punisce chi nega l’Olocausto.
Lo spiega in un’intervista l’avvocato penalista Roberto De Vita.

Quali sono i limiti posti dall’ordinamento al diritto di espressione e al diritto di parola?

La libera manifestazione del pensiero è diritto soggettivo fondamentale ed irrinunciabile in ogni ordinamento democratico e riceve riconoscimento e tutela nell’art. 21 della Costituzione italiana, nell’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nell’art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nell’art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e nell’art. 19 del Patto internazionale di New York sui diritti civili e politici.

Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche. Nell’ordinamento europeo l’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto a restrizioni o sanzioni che costituiscano misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui; tale esercizio incontra, altresì, il divieto dell’abuso di diritto in ragione del quale non può interpretarsi la portata di una norma (di libertà) nel senso di comportare il diritto di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà altrui. Nell’ordinamento internazionale è convenzionalmente stabilito che, l’esercizio delle predette libertà fondamentali, possa essere sottoposto a limitazioni o sanzioni in ragione della necessità di tutelare (tra gli altri) il rispetto dei diritti o della reputazione altrui, l’ordine pubblico o la morale. Nell’ordinamento italiano l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero incontra i limiti del cosiddetto bilanciamento delle tutele costituzionali, ovvero sono considerate legittime le restrizioni o sanzioni poste a presidio della necessità di garantire altri beni e diritti di pari o superiore rilevanza costituzionale.

Tuttavia la Corte delle leggi, in relazione all’art. 21 della Costituzione, ha nel tempo affermato come siano compatibili con il diritto fondamentale della libertà di manifestazione del pensiero solo quelle restrizioni o limitazioni che non solo trovino giustificazione nella necessità di tutelare altri diritti o libertà fondamentali ma che attengano a condotte che possano ritenersi effettivamente (seppur anche solo potenzialmente) “pericolose” per la conservazione dei medesimi. All’estero quali sanzioni vi sono per il reato di negazionismo? L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Risoluzione n. A/RES /61/255 del 26 Gennaio 2007) ha condannato, senza riserva alcuna, qualsiasi forma di “denial of the Holocaust”, richiedendo con urgenza a tutti gli Stati Membri di introdurre misure di condanna di ogni forma di negazione dell’Olocausto come accadimento storicamente accertato, e precisando come il negazionismo rappresenti in sé un aumento del rischio che tali terribili eventi possano ripetersi.

L’Unione Europea (Decisione Quadro 2008/913/GAI del Consiglio del 28 novembre 2008), adottata nell’ambito delle politiche normative di contrasto a talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia, ha stabilito (tra l’altro) che gli Stati membri devono obbligatoriamente introdurre nella legislazione nazionale fattispecie di reato che consentano di punire direttamente “l’apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, quali definiti agli articoli 6, 7 e 8 dello Statuto della Corte penale internazionale, e dei crimini definiti all’articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale, allegato all’accordo di Londra dell’8 agosto 1945”.

La Decisione Quadro richiede altresì che la legislazione degli stati membri preveda, per tali condotte delittuose, la pena della reclusione per una durata massima compresa almeno tra uno e tre anni. Molti paesi, europei e non, hanno già da tempo introdotto norme penali volte a sanzionare in via diretta condotte di negazionismo, altri hanno provveduto (o stanno provvedendo) più recentemente ad adeguare la loro legislazione interna agli indirizzi derivanti dall’ordinamento internazionale; in ogni caso tutti i paesi membri dell’Unione Europea dovranno obbligatoriamente provvedere in materia. Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Cipro, Francia, Germania, Ungheria, Israele, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Svizzera, hanno diposizioni penali specifiche che puniscono il “genocide denial” ovvero anche direttamente l’ “holocaust denial”, seppur con differenze in ordine alle concrete condotte sanzionabili ed alle pene comminabili. Alcuni paesi europei, tra cui quelli di common law e di tradizione scandinava, hanno rappresentato aspetti di problematicità in ordine alla compatibilità costituzionale di norme penali che sanzionino il negazionismo in quanto tale ed in tal senso il Consiglio dell’Unione Europea ha previsto specificatamente che gli Stati membri possano decidere di rendere punibili soltanto quelle condotte negazioniste che siano ritenute atte a turbare l’ordine pubblico o che siano minacciose, offensive o ingiuriose.

Tale previsione consentirebbe altresì alla Spagna di superare il giudicato Costituzionale che nel 2007 dichiarò illegittima la norma penale che sanzionava la diffusione di tesi negazioniste a prescindere da ogni valutazione di pericolosità (in astratto o in concreto) o comunque di potenziale offensività delle stesse. In Olanda, seppur non è ancora stata introdotta un fattispecie sanzionatoria specifica, i Tribunali penali e la Corte suprema hanno giudicato più volte (anche recentemente) la negazione dell’olocausto come “defamatory statements about Jews” e pertanto penalmente sanzionabile. In breve, e limitando il ragionamento ai soli paesi europei, tutti gli Stati membri della UE (a prescindere dagli obblighi comunque ineludibili derivanti dalla richiamata decisione quadro) hanno provveduto o stanno provvedendo ad introdurre specifiche fattispecie di reato sulla base di un comune sentire: negare la Shoà, così come negare altri crimini di genocidio accertati da corti internazionali e patrimonio consolidato della storiografia e della memoria tragica dei popoli, altro non è che farne apologia e diffondere le “ideologie” che a tali mostruosità hanno portato, attraverso strumentali mistificazioni e falsificazioni di carattere ascientifico e astorico che non possono trovare riparo (pena il menzionato abuso di diritto)nella libertà di manifestazione del pensiero. Ovviamente, stante la necessità di salvaguardare la specificità delle tradizioni giuridiche dei diversi paesi, l’Unione Europea (fermo l’obbligo menzionato e l’obiettivo comune) consente che siano i singoli Stati membri ad individuare il concreto atteggiarsi delle disposizioni penali domestiche.

Come giudica l’idea di estendere tale reato anche in Italia? E che tipo di sanzioni potrebbero essere previste?


L’Italia dovrà necessariamente provvedere ad introdurre, accanto alle norme che già sanzionano l’apologia di genocidio, una fattispecie penale che sanzioni in via diretta condotte di negazione o di minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, alle condizioni stabilite dalla Decisione Quadro della UE . Al fine di superare eventuali perplessità sulla compatibilità costituzionale di una disposizione di tale indirizzo, si dovrà attentamente considerare il portato della giurisprudenza costituzionale in materia di reati di opinione, mutuare indirizzi dall’esperienza della legislazione di altri paesi e dagli interventi delle relative Corti Costituzionali e provvedere a delimitare con grande precisione il perimetro di una fattispecie penale di così rilevante importanza (sotto il profilo dei beni che intende proteggere) e di inevitabile impatto sull’interpretazione dell’art. 21 della Costituzione che tutela nel nostro ordinamento la libertà di manifestazione del pensiero.

Tuttavia, la tutela di tale imprescindibile e fondamentale libertà non rappresenta un ostacolo all’introduzione di una norma penale sanzionatoria del negazionismo, come dimostrato non solo dall’esperienza di altri paesi ad elevata tradizione nella salvaguardia delle libertà fondamentali, non solo dallo stato delle determinazioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e degli atti normativi adottati dall’Unione Europea, ma come altresì chiaramente confermato da una pluralità di decisioni adottate sia dal Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite sia dalla European Court of Human Rights che, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità della legislazione penale domestica di alcuni paesi europei con le norme della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ha affermato come “la manifestazione di opinioni negazioniste dell’Olocausto integra un abuso del diritto di espressione previsto dall’art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo giacché, sostenendo la negazione o la revisione di fatti storici definitivamente stabiliti, rimette in causa i valori che fondano la lotta contro il razzismo e l’antisemitismo e comporta un pericolo per l’ordine pubblico. Conseguentemente, il suo perseguimento da parte della legislazione nazionale costituisce un’ingerenza legittima ed una misura necessaria in una società democratica”.
G.K.
www.shalom.it/J/index.php?option=com_con...p;Itemid=1&ed=39

Written by G.K. dal mensile ebraico "Shalom" Friday, 25 March 2011
integralmente tratto da Gianluca Freda blogghete

sabato 2 aprile 2011

ATTENTI AI TRUFFATORI


Quello sopra proposto è un ritaglio del volantino ideato e diffuso dal Comune di Siena in occasione di una campagna di sensibilizzazione, mirata in particolare alle persone anziane, contro i truffatori porta-a-porta ma non solo.
Apprezzabile iniziativa, e sarebbe ancor più apprezzabile se suggerisse di diffidare (e magari denunciare, perché no?) anche dai tentativi d'estorsione ovvero di donazione "volontaria" a mezzo posta.
Riallacciandomi all'articolo precedente, ecco il nuovo elenco di latori di missive e relativi "progetti" - rigorosamente accompagnate da bollettino postale precompilato - reperite nella mia cassetta della posta:
  • lega del filo d'oro
  • MEDICI SENZA FRONTIERE
  • cbm - insieme per fare di più (cosa?!? i soldi? ovviamente non ho neanche aperto la busta, potrebbe contenere di tutto...)
  • MEDICAL MISSION INTERNATIONAL ITALIA (international o italia?)
  • ASSOCIAZIONE FONTE DI SPERANZA ONLUS > Siccità mortale in Etiopia!
  • Fondazione Progetto Arca Onlus > PROGETTO EMERGENZA FREDDO (per problemi meteo, rivolgetevi a chi controlla il clima, non alla gente comune)
  • Fondazione L'Albero Della Vita > ORFANOTROFIO DI NAIROBI (2 plichi identici)
  • Associazione umanitaria per i bambini di tutto il mondo - onlus (ma un acronimo no?) > Malnutrizione in Kenia
  • PROGETTO ARCA > PROGETTO EMERGENZA FREDDO (2° invio urgente: per forza, sta arrivando il caldo!)
  • MISSIONI DON BOSCO (2 plichi identici)
  • cbm (arieccoli) > EMERGENZA SUDAN
  • cbm (ancora?!?) > Questa busta contiene il tempo di una vita... solo 1 minuto la sua [immagine bambino negro sofferente]
  • [busta anonima] > Hanno fame! 2000 bambini per mangiare hanno bisogno di noi...
  • osf (OPERA DI SAN FRANCESCO PER I POVERI - se il santo fosse vivo avrebbe pietà di voi - 2 plichi identici)
  • Fondazione Operation Smile Italia ONlus > Cambia oggi stesso la vita di un bambino. [foto bambino bianco affetto da malformazione cranio-facciale] (se volessero cambiargli veramente la vita, con gli stessi soldi gli finanzierebbero un intervento di plastica invece di spedire buste colorate alla gente.
Tralasciando il sentimento di spontaneo disprezzo nei confronti di queste associazioni (autorizzate a delinquere) che rastrellano denaro da psicolabili di buon cuore per farne non si saprà mai cosa, in che modo una persona abbiente potrebbe realmente aiutare, se lo volesse, bambini sofferenti & co.?

Andiamo alla radice del problema, non è certo attraverso un'improbabile partecipazione civile che si può aiutare il prossimo (e quindi sé stessi): la politica come sistema esiste solo per illudere il cittadino di avere realmente voce in capitolo sulle scelte effettuate dal Sistema stesso "per conto" ma molto spesso CONTRO di lui.
Delegittimare uno Stato che mostra di essere solo un'emanazione assolutamente blindata di faccendieri delle lobbyes internazionali è forse l'unica strada percorribile: nessun popolo è mai stato in grado - ne mai potrebbe - di fare rivoluzioni di propria iniziativa; esse sono sempre state ideate e gestite da ristrettissimi gruppi di (contro)potere che una volta ottenuto l'abbattimento del regime precedente ne hanno istituito un altro che come primo atto si è occupato della riscrittura della Storia recente, allo scopo di cancellare qualsiasi lecito dubbio.
Alla base di tutto, la vera linfa del potere è sempre e principalmente il Signoraggio Bancario - non altro: uno Stato che fosse realmente emanazione dei propri cittadini (non sudditi!) provvederebbe a battere moneta direttamente creando ricchezza, non delegando il succoso onere ad organizzazioni private.
E quindi, l'unico modo per rallentare la discesa nel baratro (perché una moneta unica mondiale sempre basata sul debito sarà purtroppo inevitabile) è delegittimare anche la moneta, ricorrendo il più possibile al baratto o a diverse forme di titoli di credito il più possibile sganciate dalla moneta ufficiale.
Il Signoraggio Bancario è infatti la più grande truffa esistente.

Ridimensionare il potere dei cartelli delle industrie più redditizie e potenti sarebbe il secondo doveroso passo per ridistribuire reddito e diritti tra i cittadini del mondo.
In particolare, andrebbe boicottata con ogni mezzo l'industria della guerra, i monopoli tossico-alimentari, l'industria dell'energia basata su derivati del petrolio o sul nucleare "sporco" (basato sulla fissione dell'atomo e quindi produttore di scorie ma principalmente di plutonio ad esclusivo uso militare) ed infine ma non ultima l'industria farmaceutica privata ("Big Pharma" per gli addetti ai lavori) che, basando la propria ragion d'essere sul profitto, non può certo immaginare di lavorare per eliminare realmente malattie&sofferenza dalla faccia della Terra... .
In quest'ottica, l'abominevole pratica delle irrorazioni aeree (al secolo Scie Chimiche) è solo un effetto che potrebbe essere prevenuto ed eliminato combattendo le industrie suddette: per quanto ne sappiamo e possiamo dedurre, il cospargimento di particolati in atmosfera, a seconda della loro natura, può essere funzionale ai fini malefici di TUTTE le industrie sopra elencate.

In tal modo, ogni persona altruista sarebbe certa di aver aiutato VERAMENTE tutti i bambini e comunque tutte le persone sofferenti del mondo, perché se sono sofferenti quasi certamente le responsabilità vanno cercate nelle opere poco pie e nelle scelte contro la popolazione messe in atto dalle industrie di cui sopra.
Finanziando onlus ed associazioni "umanitarie" varie si finisce solo per rafforzare il perverso Sistema che ne giustifica (ufficialmente) l'esistenza.

Per fare un esempio, se il problema che sentiamo più vicino è la malnutrizione o le malattie che subiscono alcune popolazioni africane, basterebbe impedire interventi militari contro Paesi che intendono autodeterminarsi sottraendosi al controllo economico e militare effettuato su di loro dai Paesi ricchi, impedire la diffusione volontaria di malattie e la sperimentazione di vaccini tossici ad opera di militari&Case farmaceutiche.
Benedetti dal sole, tutti i Paesi della fascia equatoriale (ma non solo) potrebbero emanciparsi facilmente e rapidamente ottenendo un benessere diffuso solo attrezzandosi di pannelli solari - "bassa" tecnologia sicura, facilmente disponibile e dai costi accessibili - producendo tanta energia da poterla rivendere ai Paesi più ricchi ed "assetati" di energia stessa e trasformare i deserti in giardini fruttuosi produttori di cibo sano ed a basso prezzo.
In tal modo si otterrebbe una tale ridistribuzione della ricchezza mondiale da bastare - da sola - a risollevare il destino dell'Umanità e soprattutto le condizioni dei più sfortunati.
E tutto questo senza neanche tirare in ballo il signoraggio... .